GECO FOR SCHOOL

INTERVISTA A FRANCESCO FULVI

Dottore di ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Professore a contratto del Laboratorio Progettuale di Architettura e Composizione Architettonica III, presso l’Università degli Studi di Bologna per gli anni accademici 2009-2011. Docente di Fisica e Fisica ambientale, consulente energetico CasaClima e membro della commissione per la qualità e il paesaggio del Comune di Parma.  Ecco chi è Francesco Fulvi. Oggi lo intervistiamo a GECO FOR SCHOOL in un percorso che va dalla green education all’architettura ecosostenibile.

 

 

 

Parliamo di architettura ecosostenibile: in che modo influisce sul tessuto sociale, oltre che sull’impatto ambientale?

Un’architettura ecosostenibile si realizza perdendo dal luogo, studiando le caratteristiche del clima, analizzando il bisogno delle persone che vivono quel determinato sito nel quale si opera, studiando le costruzioni del passato e reinterpretando le forme in chiave contemporanea.

Purtroppo negli ultimi 100 anni per risolvere qualsiasi problema energetico (riscaldamento o raffreddamento) si sono utilizzate fonti fossili (petrolio, gas, carbone) allo stesso modo in tutto il mondo.

Queste fonti fossili bruciando hanno aumentato la presenza di CO2 nell’aria e provocato un aumento di temperatura media globale dell’intero pianeta con conseguenze ormai visibili a tutti soprattutto dal punto di vista sociale ed economico.

L’industria delle costruzioni è responsabile di circa 1/3 delle emissioni che, oltre ad aumentare l’effetto serra, provocano malattie nelle zone densamente abitate e quindi un costo sociale ancora più grande.

Ogni volta che costruiamo qualcosa (un mobile, una casa, una piazza o un quartiere) modifichiamo il contesto nel quale operiamo imponendogli una forma e soprattutto una presenza. Ad esempio, un edificio genera un’ombra che cambia ogni ora del giorno, assorbe calore o lo emette, determina la definizione di spazi esterni e ne condiziona l’utilizzo. Tutte queste caratteristiche risultano fondamentali per il tessuto sociale di chi lo vive dato che la capacità di uno spazio pubblico di attrarre o respingere le persone ne determina anche la vocazione e quindi le condizioni di eventuale degrado.

Dal punto di vista dell’impatto ambientale è diventato fondamentale tornare costruire basandosi non più su un’economia di tipo lineare ma di tipo circolare dove ogni elemento costruttivo prima di essere scelto è valutato secondo il costo ambientale, cioè quanto impatti per il pianeta produrlo e non più secondo il suo costo economico.

Un secondo elemento fondamentale riguarda la produzione di energia che deve necessariamente provenire da fonti rinnovabili e non inquinanti, abbassando la domanda di energia negli edifici il che significa isolarli molto bene in modo da ridurre al minimo le dispersioni.

 

Cosa vuol dire rendere sostenibile l’abitare?

Rendere sostenibile l’abitare” significa realizzare spazi abitativi che con la loro presenza non impattino sull’ambiente, ovvero edifici che non emettano nulla in atmosfera per scaldarsi o rinfrescarsi e che producano più energia di quella di cui ne hanno bisogno.

È necessario puntare molto sul recupero degli edifici esistenti. Qualora non fosse possibile, bisogna praticare la tecnica dello smontaggio con il reimpiego anche in altri cantieri dei materiali che sono ancora in buone condizioni, al posto di demolire tutto e portare in discarica. Mi piace molto il concetto di “impronta ecologica” che ci indica quanto il consumo di risorse da parte dell’uomo lasci la capacità alla Terra di rigenerarle, da una misura e una consapevolezza che ciascuno di noi ha una responsabilità ma anche consapevolezza del fatto che per ciascuno di noi è possibile ma solo entro certi limiti.

 

La tua esperienza ti ha portato a confrontarti con molte realtà internazionali, che idea ti sei fatto del ruolo dell’Italia nel progresso verso la sostenibilità?

L’Italia, come tutte le nazioni, deve fare la propria parte per raggiungere gli obiettivi posti dal Green Deal Europeo al 2050, come nazione possiamo sicuramente diventare un punto di riferimento per la produzione di energia da fonti rinnovabili vista la grande quantità di cui ne disponiamo.

Possiamo inoltre recuperare alcune filiere come quella del legno per le costruzioni e della canapa per l’isolamento, della terra cruda e altri materiali naturali. Attraverso la ricerca, possiamo portare innovazione studiando materiali sempre meno impattanti per il pianeta.

Inoltre l’Italia può avere un ruolo di primo piano nel progettare e rendere sempre più integrati i nuovi elementi e dispositivi tecnici divenuti indispensabili: pale eoliche, pannelli fotovoltaici, macchine per la ventilazione meccanica controllata, rivestimenti di facciata. Ci sono migliaia di posti di lavoro già pronti.

 

Come ci collochiamo rispetto agli altri paesi europei?

Quando nel 2003 lavoravo in Francia anche là non c’era una grande consapevolezza dei problemi climatici e di quanto l’industria delle costruzioni avesse grande responsabilità nella produzione di gas clima alteranti.

In seguito all’emanazione delle prime direttive europee del 2005, ho visto una continua e più rapida evoluzione sia nel modo di pensare che di costruire. Viaggiando anche in Germania, Svezia e Danimarca ho notato che questa consapevolezza è ormai parte integrante della loro cultura, le sperimentazioni dei quartieri ecosostenibili degli anni 2000 sono oggi ormai prassi consolidata.

 

In che modo si intrecciano il lavoro dell’architetto e la ricerca sull’ottimizzazione energetica?

Secondo me devono essere un tutt’uno. Come ho sempre cercato di insegnare ai miei studenti di tecnologia e architettura all’università, la progettazione non può prescindere dalla consapevolezza di come si costruisce e dalla continua sperimentazione per trovare nuove forme di ottimizzazione energetica, equilibri tra forme e funzioni, tra estetica e costi, ma anche tra innovazione e tradizione.

 

Cosa possiamo fare affinché il nostro consumo di energia sia orientato alla sostenibilità?

Per prima cosa, dobbiamo essere consapevoli che se vogliamo raggiungere nel 2030 la riduzione del 55% delle emissioni rispetto al 1990 (ad oggi siamo a circa il 20%) in un tempo così breve non possiamo fare altro che cercare soluzioni che riducano la produzione di CO2 (usare meno l’auto o acquistarne una elettrica, mangiare meno carne, usare meno l’aereo, isolare sempre di più in nostri edifici, ecc.) Nello stesso tempo bisogna lavorare per aumentare enormemente la presenza di dispositivi che producano energia da fonti rinnovabili, in particolare il sole, iniziando a produrre idrogeno verde con l’energia in eccesso.

 

 

Quanto sono importanti per te i workshop/cantiere come quello che ormai da 8 anni organizzate alle Ghiare di Berceto in provincia di Parma?

Le esperienza didattiche teoriche e pratiche, che organizziamo per recuperare l’ex cementificio Marchino alle Ghiare di Berceto, sono di fondamentale importanza.

In questo modo vengono insegnate ai giovani sia le tecniche costruttive tradizionali che quelle meno impattanti per l’ambiente. Queste nuove tecniche sono sperimentare direttamente sulla struttura.

Inoltre, l’insegnamento del senso identitario, che si crea facendo lavorare i cittadini in gruppo per un bene comune, è estremamente importante.

 

Nella tua carriera è molto importante l’elemento didattico, quali sono secondo te i valori più importanti da passare agli studenti in questo momento storico?

La didattica è l’elemento base sul quale dovremmo investire di più se vogliamo davvero un cambiamento che ci permetta di rispettare i parametri degli accordi di Parigi ed evitare sconvolgimenti planetari che porteranno inevitabilmente enormi problemi sociali. Con Antonio Rancati abbiamo già riscosso grandi successi nella promozione di diversi progetti, a partire dal 2015 con il Modulo ECO nel cuore di Parma, e la divulgazione del docufilm sulla Terza Rivoluzione Industriale del prof. Jeremy Rifkin in decine di istituti superiori e numerose università, tra cui quella di Parma.

 

Perché hai deciso di promuovere in questi anni la green education di Cetri-Tires e per quale motivo hai accettato di partecipare al Comitato scientifico di GECO for School?

Perché hanno un approccio scientifico, ludico, gioioso ed innovativo. È fondamentale investire sui più giovani perché saranno i cittadini di domani ma anche perché possono influenzare ed educare a loro volta i propri genitori e indurli a quel cambiamento che oggi è divenuto irrinunciabile. Sono onorato di partecipare al Comitato scientifico di questo nuovo format interattivo e con la possibilità per gli studenti di provare esperienze di realtà virtuale con un team così qualificato come questo di Geco for School.

Scritto il 05-07-2021

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