GECO FOR SCHOOL

Le GECO-interviste: intervista a Tiziana Monterisi, architetta, CEO e Co-Founder di Rice House

Oggi intervistiamo Tiziana Monterisi, architetta, CEO e Co-Founder di Rice House, realtà focalizzata nella trasformazione degli scarti della produzione risicola in materiali per l’edilizia e le costruzioni.

 

Rice House, dal riso all’edificio. Ci spieghi il vostro esempio di economia circolare che parte dal chicco di riso e in qualche modo ritorna ad esso?

Rice House è lo snodo di una grande filiera che parte più dal campo di riso che dal chicco in sé. Il riso è innanzitutto nutrimento ma tutto ciò che  non è edibile, per noi oggi è materia prima che ci permette di produrre materiali edili completamente naturali ed efficienti, costruendo case a energia zero, sane per l’uomo e che a fine vita possono tornare a quel campo di riso sotto forma di fertilizzante o di altra natura. Lo snodo di una filiera che unisce l’agricoltura con l’architettura partendo da quel campo e proprio grazie all’economia circolare tutto quello che non viene solitamente utilizzato dall’attività agricola diventa risorsa e materia prima per le costruzioni.

 

Quali sono i processi che il chicco deve subire per essere adatto alla lavorazione?

Ci sono due mondi che si devono unire. Il primo è quello agricolo, in particolare nei 6 mesi di agricoltura dove si coltiva, semina e raccoglie il riso. Nei mesi di settembre e ottobre in Italia viene tagliato il riso. Il risone (il riso greggio) viene poi raccolto nelle riserie, esce quindi dal mondo agricolo ed entra in quello industriale. Dal mondo agricolo prendiamo due scarti, la paglia e l’argilla del campo. Quella che esce da mondo industriale -e che è la maggiore a livello quantitativo- è la lolla, la pelle del riso. Una volta che il risone entra nella riseria subisce un processo di sbramatura: il risone entra in macchine che per sfregamento separano la pelle del riso dal riso. Il chicco viene quindi pulito in maniera meccanica, non per processi chimici. La seconda lavorazione si chiama pilatura, il chicco di riso integrale diventa bianco sempre per un processo meccanico dove esce la pula di riso, una polverina tipo farina. Noi usiamo tutti gli scarti. Siamo partiti da quello che vedevamo in campo ma poi ci siamo resi conto che gli scarti erano veramente tanti. La pianta di riso inoltre mentre cresce sequestra CO2 dall’atmosfera, rilasciando ossigeno. Se la brucio alla fine della lavorazione reimmetto CO2 nell’ambiente. Se invece quel materiale diventa un mattone, un pavimento, un isolante o altro mantengo quella CO2 sequestrata e la stocco nell’edificio. Ecco perché è una materia prima straordinaria per l’edilizia, oltre alle sue caratteristiche è anche un riduttore di CO2.

 

 

  

La lolla e la paglia di riso

 

Perché è importante ripensare all’edilizia e all’architettura in un’ottica più sostenibile e conviene?

Una delle cose che mi ha spinto in maniera intensa nel mantenere questa strada è dovuta al fatto che l’attività del mondo delle costruzioni è la terza più impattante che l’uomo fa ogni giorno per diversi aspetti: l’emissione di CO2, l’uso di energia, la produzione di rifiuti, l’uso di acqua potabile e l’estrazione del 50% delle materie prime per fare materiali edili. Il provare a cambiare le regole dell’edilizia cercando di ridurre questi aspetti negativi è stato per me una strada che ho continuato a ricercare. All’interno del chicco di riso ho trovato la soluzione a tutti i 5 aspetti: è una materia rinnovabile ogni anno, è presente in tutto il mondo, in quantità elevate, e quindi vado immediatamente ad impattare riducendo drasticamente l’estrazione di quelle materie prime, azione che danneggia l’uomo e l’ambiente. Vado a produrre edifici che non hanno più bisogno di molta energia e i quali processi di lavorazione richiedono pochissima acqua. In quel chicco di riso quindi da una parte mantengo il territorio e la cultura, una cultura di vita, dall’altro vado a cambiare le regole dell’edilizia, un’edilizia non più energivora, estrattiva ma che diventa attività rigenerativa e di pace, come mi piace definirla.

 

Quali rifiuti -visibili e non -produce un’architettura poco attenta all’ambiente?

Purtroppo l’edilizia produce circa 1/3 di tutti i nostri rifiuti che vanno da parti di scarto che si creano nel cantiere, cioè quasi tutti rifiuti speciali come il cartongesso, come la lana di roccia non per forza nocivi per l’uomo, ma che non possono tornare al campo ne possono essere riciclati (ad esempio le plastiche) e che inevitabilmente vengono portati in una discarica: tubi dei corrugati dell’impianto elettrico, pezzi di isolamento, mattoni di cemento… Il poter avere a monte un’attenta analisi, il poter dire “oggi ho prodotto questo materiale e so che se me ne avanza un po’ in cantiere non sarà un rifiuto speciale ma mi chiedo dove lo potrò mettere” è fondamentale. I nostri materiali sono 100% riciclabili, produrre nuovamente prodotto, compostabili, quindi posso metterli in un biodegestore, possono tornare al campo di riso o possono essere sgretolati e diventare inerti. Il pensare fin dall’inizio a quale sarà la fine del prodotto è importante, il produttore si deve assumere questa responsabilità, deve sapere se quel prodotto è nocivo e che impatto avrà sull’ambiente e sull’uomo.

 

Nel percorso di GECO For School si parla di green jobs, i lavori legati alla sostenibilità. Rice House sicuramente riflette questa realtà nel campo dell’edilizia, qual è stato il percorso che ti ha portata a scegliere nel mondo dell’architettura la strada green?

All’università ho incontrato una docente molto attenta che mi ha stimolata e orientata ad un’architettura poco tradizionale ma molto innovativa, per esempio all’uso dell’assemblaggio a secco cioè il poter pensare all’edificio in questi termini: oggi lo monto ma tra 50 anni lo posso smontare separando i materiali. Questo mi ha permesso di capire che oggi dobbiamo essere molto consapevoli che un edificio anche se tramandato di generazione in generazione avrà bisogno di cure, in quell’ottica si pensa all’edificio in termini di ciclo di vita: lo penso oggi ma devo sapere cosa succederà. Da lì ho compiuto un ulteriore salto, ho cominciato a capire che non bastava solo la tecnologia cioè come monto ma anche con cosa, quindi tutto ciò che riguarda l’architettura bioecologica e cosa la natura ci offre a livello di materiali naturali, perché da un lato c’è un impatto ambientale e dall’altro l’uomo, l’uomo che vive l’edificio e l’uomo che lo dovrà smantellare. Rimettere al centro dell’architettura noi stessi vuol dire pensare non solo a ridurre l’energia ma se quel materiale fa bene o fa male all’uomo, quindi il costruire case sane e a energia zero è per me fondamentale, uno mi permette di lavorare partendo da cosa mi offre la natura senza sfruttarla e dall’altro cosa posso rimettere nella natura senza farle un danno. La mia tesi poi fu una casa galleggiante autosufficiente che vedeva un tema ora attuale cioè quello del non consumo del suolo, perché purtroppo continuiamo a cementificare i terreni che dovrebbero essere lasciati alla natura.

 

Una scuola fatta con il riso e i suoi scarti, è una visione che appartiene al futuro o è realizzabile già da ora?

È assolutamente l’oggi, anzi ieri! Dopo il terremoto di Amatrice, una progettista, usando i nostri materiali ha progettato e costruito una scuola materna a Camerino. Un gesto bellissimo della Fondazione Rava, finanziatrice del progetto, che non ha solo voluto dare la scuola ma nel ridarla ha dato un segnale potente per il futuro. La scuola è un punto di ripartenza, nella casa ci si vive ma la scuola è un atto pubblico, dove crescono le generazioni future e in una generazione si può cambiare il mondo. Lo stato dovrebbe agevolare queste cose, ma non sempre le norme vanno in questa direzione. L’ultima normativa del 4 dicembre in merito ai criteri minimi ambientali ha visto però passi avanti nei materiali naturali. Vi era un vuoto normativo perché non c’era inclusa la parola sottoprodotto, il prodotto era compatibile ambientalmente solo se riciclato. Noi non ricicliamo niente, valorizziamo un sottoprodotto che già c’è. Questo passo avvenuto a dicembre è molto importante, spinge verso l’utilizzo di materie che diventano materie prime ma che per altre attività sono considerate scarti. Bisogna guardare al rifiuto con un occhio diverso, con un punto di vista diverso, io ho visto in quel campo di riso bruciato, da un altro punto di vista, una casa e una grande risorsa.

 

Ultima domanda ma non per importanza, qualche spoiler del premio di Rice House per GECO For School?

La classe che vincerà avrà un webinar con me e sarà un momento di grande condivisione. Lavorare con gli studenti, dargli la possibilità di avere quello sguardo lucido, passionale e creativo, di guardare in un altro modo le cose mi entusiasma, talvolta siamo talmente abituati a vederli in una sola direzione ma cambiando punto di vista vediamo cose diverse, innovative.

 

 

 

Scritto il 20-01-2023

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